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IO NON SONO NATO PER LE CORTI

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Ciro di Pers, il cavaliere poeta
Modestia e riservatezza possono nuocere alla fama, presso i posteri oltre che i contemporanei, ma non tutti sono disposti a rinunciare alla propria dignità e alla propria indipendenza per ricchezza, potere o maggiore celebrità. Forse con qualche “cirimonia” davanti ai signori delle corti secentesche, che pure lo apprezzarono e lo sollecitarono, la sorte di Ciro di Pers sarebbe stata diversa, ma egli non accettò mai di mettersi al servizio di nessuno perché “pur voi iessi vagabond”.  
Le edizioni del suo canzoniere, tutte postume e incomplete, si susseguirono negli ultimi decenni del Seicento, per poi finire nell’oblio: il nome di Ciro sopravvive in qualche antologia scolastica come esempio di poeta marinista barocco. Eppure la sua produzione -come ha ben dimostrato Alberto Vidon nella Lezione Aperta di venerdì 3 marzo, intrecciando con ammirevole chiarezza e abilità narrativa vicende biografiche e lettura di versi- è ricca e varia, con picchi di intensità e commozione soprattutto nei testi in friulano, pressoché sconosciuti. Accostandosi con rispetto, quasi con affetto, all’uomo oltre che allo scrittore, Alberto Vidon ci ha svelato una figura insospettabile di poeta viaggiatore, moderno, attento all’attualità, che da un angolo remoto dei domini di terra della Repubblica veneziana entrò in contatto con importanti personaggi della cultura e della politica del tempo. 
Col garbo e la pacatezza che lo contraddistinguono Alberto Vidon ha lamentato la mancanza di un’edizione critica definitiva del poeta di Pers, sottolineando come tra gli innumerevoli tesori della Biblioteca Guarneriana ci sia l’intera sua produzione, meritevole di studio e diffusione, tanto più in quel territorio che ispirò molti testi di Ciro, dalla torre di San Daniele -forse alla base del sonetto più celebre, quell’ “Orologio da rote” che ci ricorda che “sempre si more”-, al terremoto, fino alla cugina Taddea di Colloredo, l’amore impossibile che indusse Ciro ad arruolarsi come cavaliere e partire rischiando la vita nelle battaglie combattute dalla Serenissima, per poi fare ritorno nella propria terra. (pm)

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